Chiesa di San Salvatore (Santa Teresa d’Ávila)

Ex chiesa conventuale carmelitana in Ortigia, chiusa al culto nel 1924
Aggiornato in data 16 Dicembre 2025 da Alessandro Calabrò
Nota: Da non confondere con la Parrocchia del SS. Salvatore di Siracusa moderna (via Necropoli Grotticelle), chiesa istituita nel dopoguerra e tuttora attiva, estranea alla storia dell’edificio ortigiano.
Chiesa del SS. Salvatore – Santa Teresa
Facciata della ex chiesa del Santissimo Salvatore (Santa Teresa) in Ortigia, Siracusa
Facciata della chiesa vista dal Ronco G.A. Capobianco (foto di G. Dall’Orto, 2008).
Altre denominazioniChiesa di Santa Teresa d’Ávila; Chiesa del SS. Salvatore
TipologiaEdificio religioso storico (chiesa sconsacrata)
Fondazione1652, per volere del vescovo Giovanni A. Capobianco
Ordine religiosoCarmelitane Scalze (monache di clausura)
Ricostruzione1806 (dopo incendio del 1800)
AffidamentoConcessa alla Società dei Naviganti (1885)
Chiusura al culto19 giugno 1924
Usi successiviTipografia e laboratori artigianali (XX secolo)
Elementi notevoliFacciata barocca (1806) con oculo polilobato; lapidi commemorative
Opere trasferiteMausoleo di G.A. Capobianco (dal 1885 in Cattedrale)
TutelaBene vincolato (L. 1089/1939); nel sito UNESCO “Siracusa e Pantalica” (2005)

La Chiesa di San Salvatore in Ortigia – nota anche come Santa Teresa d’Ávila – è un edificio sacro storico del centro antico di Siracusa. Situata in Via della Maestranza, all’imbocco del Ronco Giovanni Antonio Capobianco, presenta una facciata tardo-barocca ben conservata, mentre l’interno è oggi adibito a spazi privati (un tempo tipografia). Fu fondata nel 1652 come chiesa del monastero delle Carmelitane Scalze di Santa Teresa, da cui trae la duplice intitolazione, e rimase luogo di culto fino al 1924, quando venne chiusa al culto definitivamente.

Denominazione e inquadramento

L’edificio nasce come Chiesa di Santa Teresa d’Ávila, parte di un monastero femminile dedicato alla santa spagnola Teresa di Gesù, fondato a metà Seicento. Parallelamente era noto con il titolo del Santissimo Salvatore, nome devozionale attribuito dal vescovo fondatore: per questo le fonti lo citano come “Chiesa di Santa Teresa o del SS. Salvatore”. La facciata della chiesa prospetta su Via della Maestranza all’altezza del Ronco Capobianco, nel quartiere storico della Giudecca-Maestranza (Ortigia). L’ubicazione centrale, a pochi metri da Piazza Archimede, ne fa parte integrante del tessuto urbano barocco di Ortigia. Oggi la chiesa è sconsacrata e in proprietà privata: l’interno ospita strutture realizzate nel Novecento (una ex tipografia, poi dismessa) e non è regolarmente accessibile al pubblico. L’esterno invece resta visibile sulla via pubblica, costituendo una memoria storica per il quartiere. In documenti e mappe recenti l’edificio è indicato come “Ex Chiesa del SS. Salvatore (già Santa Teresa)”, per distinguerlo dall’omonima chiesa moderna fuori Ortigia (vedi sopra).

Imbocco del Ronco Capobianco su Via Maestranza, Ortigia
Imbocco del Ronco Capobianco da via della Maestranza: in fondo si intravede la facciata della chiesa del Salvatore. La stretta via accentua il carattere raccolto e nascosto dell’edificio nel tessuto urbano.

Contesto storico: la chiesa ortigiana è una delle numerose chiese conventuali sorte a Siracusa tra XVI e XVII secolo, in piena Controriforma. Non aveva funzioni parrocchiali ma era legata alla comunità monastica interna e, dal 1885, a una confraternita laicale (i “Naviganti”). La denominazione Santa Teresa evidenzia il legame con l’Ordine Carmelitano riformato, mentre Santissimo Salvatore richiama un titolo religioso di carattere più universale. Questa doppia identità si riflette nei documenti e nella toponomastica locale. L’edificio è censito come bene storico-artistico tutelato (vincolo monumentale) ed è incluso nel sito UNESCO “Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica” assieme a tutto il centro storico. Attualmente la ex chiesa, pur chiusa, è inserita in itinerari culturali della città e rappresenta un esempio di riuso di spazi sacri in ambito urbano.

Storia

Fondazione e monastero carmelitano (1652)

La chiesa sorse nel 1652 come parte di un nuovo monastero di monache carmelitane scalze, voluto dal vescovo di Siracusa Giovanni Antonio Capobianco. Il complesso monastico fu dedicato a Santa Teresa d’Ávila (riformatrice dei Carmelitani) ma sotto il titolo del Santissimo Salvatore; per questo nelle cronache appare come “Monastero di S. Teresa sotto il titolo del SS. Salvatore” e la sua chiesa è citata indifferentemente con l’uno o l’altro nome. Capobianco, che resse la diocesi dal 1648 al 1673, finanziò e promosse la fondazione per dotare Ortigia di un istituto di clausura femminile destinato a nobili e giovani devote. Non risultano chiese preesistenti sul sito prima di tale data (l’area era occupata da case medievali), dunque la chiesa fu costruita ex novo come luogo di culto interno al monastero (non documentato nelle fonti consultate). La rilevanza attribuita al nuovo monastero è testimoniata dal fatto che lo stesso vescovo fondatore vi predispose la propria tomba: attorno al 1701 fu realizzato uno scenografico monumento funebre in suo onore, scolpito dal parente Oronzo Salinari (detto anche Solimena in alcune fonti). Questo mausoleo, collocato accanto all’altare maggiore, raffigurava il presule e ne celebrava l’opera pastorale.

Nei decenni successivi, la chiesa e il convento vissero le vicende comuni ad altri istituti religiosi dell’epoca. Nel 1693 un disastroso terremoto colpì Siracusa (terremoto del Val di Noto): non abbiamo documenti specifici sui danni subiti dall’edificio, ma è probabile che alcune parti abbiano richiesto restauri nel primo Settecento (ipotesi non attestata). Molte chiese ortigiane vennero rinnovate in forme barocche dopo il sisma, e la chiesa di S. Teresa/S. Salvatore dovette anch’essa essere oggetto di riparazioni, dato che l’aspetto tardo-barocco odierno riflette interventi del XVIII secolo. Un importante evento si verificò nell’anno 1701: in quell’anno, a quasi trent’anni dalla morte di Capobianco, venne completato e inaugurato il monumento marmoreo in sua memoria (menzionato sopra), che costituisce una delle poche opere d’arte note legate a questa chiesa. L’autore, Oronzo Salinari, firmò l’opera, la quale fu in seguito mantenuta con cura dalle monache come simbolo dell’eredità spirituale del fondatore.

Incendio e ricostruzione (1800–1806)

Alla fine del Settecento la chiesa fu teatro di un grave incidente: un incendio, scoppiato probabilmente per cause accidentali, la devastò nel 1800, distruggendone gran parte della struttura. Le cronache dell’epoca non dettagliano l’accaduto, ma l’evento rese la chiesa inagibile. Si dovette procedere a una completa ricostruzione, che fu portata a termine entro il 1806, sotto l’episcopato di mons. Gaetano Maria Bonanno. Una lapide in latino murata sulla facciata ricorda che la chiesa, rifatta e restaurata, fu consacrata nuovamente nel 1806 durante il governo del vescovo Bonanno. Questi morì nell’agosto 1806, ma aveva già potuto vedere il completamento dei lavori. L’intervento post-incendio conferì all’edificio forme più semplici e solide, in linea con il gusto neoclassico emergente, pur conservando alcuni elementi decorativi tardo-barocchi. La facciata attuale, ad esempio, risale a questa ricostruzione del 1800–1806, con il suo portale decorato e la caratteristica finestra polilobata (vedi sezione Architettura). All’interno furono probabilmente rifatti gli stucchi e magari eseguite nuove pitture (di cui però non resta traccia). La ricostruzione fu celebrata come segno di rinascita: la lapide commemorativa, dettata dal vescovo Bonanno, esprime gratitudine per la “rinnovata casa di Dio” dopo la calamità del fuoco.

Nel contesto del primo Ottocento, intanto, maturavano i provvedimenti di soppressione degli ordini religiosi da parte dello Stato. Il monastero di Santa Teresa fu formalmente soppresso nel 1866 in applicazione delle leggi eversive dell’Unità d’Italia. In pratica, le monache poterono rimanere ancora per qualche tempo: fonti locali indicano che le ultime religiose lasciarono il convento solo nel 1882, quando l’edificio era ormai pericolante e inabitabile. L’abbandono del monastero segnò la fine della comunità carmelitana in Ortigia. Il complesso conventuale, svuotato, cadde in rovina: parte delle strutture crollarono o vennero riutilizzate per scopi profani (si parla ad esempio di ambienti adibiti provvisoriamente a magazzino demaniale, ma la notizia potrebbe riferirsi a un altro edificio simile, quindi va presa con cautela (non confermata da fonti ufficiali)). La chiesa, rimasta integra dopo la ricostruzione del 1806, rischiava a sua volta di essere chiusa per mancanza di una comunità di riferimento.

Abbandono del monastero e passaggio ai Naviganti (1882–1885)

Per evitare che la chiesa venisse totalmente abbandonata, l’Arcidiocesi decise di affidarla a un’altra istituzione. Nel 1885 fu concessa in uso alla Società dei Naviganti di Siracusa, un’antica congregazione laicale di marinai. Questa confraternita, detta anche Congregazione di Maria SS. di Porto Salvo, aveva perso la propria sede storica pochi anni prima: la chiesa di Santa Maria di Porto Salvo, che dal 1596 era il santuario dei marinai siracusani, era stata espropriata e demolita per far posto alla nuova Dogana del porto (decisione comunale del 1874, attuata entro il 1879). Rimasti senza chiesa, i Naviganti accolsero l’offerta di trasferirsi nell’oratorio di Ortigia. L’atto formale di consegna avvenne il 25 febbraio 1885: in quel giorno il monumento sepolcrale di Capobianco fu rimosso dalla chiesa e trasportato nella Cattedrale di Siracusa, liberando spazio per le nuove esigenze cultuali. Pochi mesi dopo, la chiesa del Salvatore venne aperta come cappella sociale della Società dei Naviganti. La confraternita vi portò i propri arredi e simboli (statue, gonfalone, ecc.) e iniziò a utilizzarla per le funzioni religiose dei marinai.

Dal 1885 fino al 1924 la chiesa fu dunque officiata dai membri della Società dei Naviganti, mantenendo una vita liturgica seppur limitata al sodalizio. In questi decenni l’edificio fu comunemente chiamato “Chiesa del Santissimo Salvatore”, privilegiando il titolo sacro rispetto a “Santa Teresa” (nome che ormai richiamava un monastero non più esistente). I marinai vi conservarono le proprie tradizioni devozionali: ad esempio, celebravano qui messe in onore della Madonna di Porto Salvo (loro patrona) e di Santa Lucia, molto venerata dal ceto marittimo siracusano. Si ha notizia che una loro antica statua lignea di Santa Lucia, proveniente dalla chiesa di Porto Salvo demolita, fu tenuta presso la chiesa di S. Salvatore per qualche tempo e successivamente trasferita nella chiesa della Consolazione a Belvedere (dove è stata riscoperta in anni recenti). Anche il prezioso gonfalone della congregazione – uno stendardo donato nel ‘400 da una regina di Spagna in ringraziamento per il salvataggio di una nave – venne custodito nell’oratorio; di esso però si persero le tracce dopo la chiusura, andando probabilmente distrutto o disperso.

Chiusura al culto (1924) e usi successivi

Il 19 giugno 1924 l’Arcivescovo di Siracusa decretò la chiusura al culto della chiesa del Santissimo Salvatore. Da quella data non vi furono più celebrazioni né utilizzo liturgico. Le ragioni precise non sono esplicitate nei documenti sommari, ma con ogni probabilità furono: le cattive condizioni statiche dell’edificio (dopo decenni di manutenzioni minime) e la scarso afflusso di fedeli (ridotto ai pochi confrati, anch’essi in calo) (motivazioni non documentate ufficialmente). La chiesa fu sconsacrata e privata degli arredi sacri: il Santissimo Sacramento venne rimosso, così come suppellettili e paramenti furono redistribuiti ad altre chiese. Da allora l’edificio cessò la funzione ecclesiastica e passò in proprietà dell’autorità religiosa e, in seguito, a privati.

Dopo il 1924, la Società dei Naviganti – privata del proprio oratorio – continuò ad esistere come ente laico, spostando le attività presso altre sedi (ad esempio, i marinai si riunivano nella chiesa di Santa Lucia al Porto e in locali del Circolo dei Marinai). La Società si trasformò nel 1927 in ente di mutuo soccorso e proseguì, seppur ridimensionata, fino alla fine del XX secolo, per poi estinguersi definitivamente nel 1997. Nel frattempo, la chiesa dell’Ortigia seguì il destino di molti beni ecclesiastici dismessi: rimase chiusa per alcuni anni, finché fu ceduta o affittata a privati che la riutilizzarono per scopi commerciali. Già nel secondo dopoguerra si ha notizia dell’utilizzo dell’ex chiesa come laboratorio artigianale (mobilificio) e successivamente come stabilimento tipografico. Questi usi profani comportarono trasformazioni interne (vedi oltre), ma contribuirono a preservare l’edificio dal degrado totale, assicurando manutenzione di base (tetto in ordine, chiusura degli infissi, ecc.).

Architettura

Impianto

Planimetria e spazi interni originari: la chiesa del Salvatore presenta una pianta ad aula unica rettangolare, senza transetto e con un breve presbiterio sul fondo. In origine l’aula era probabilmente coperta da una volta a botte (o a vela) decorata, andata perduta in seguito agli eventi storici. Non vi sono cappelle laterali maggiori: lungo le pareti si aprivano alcune nicchie o edicole minori, destinate ad altari secondari o statue, secondo lo schema semplice tipico delle chiese monastiche di clausura. All’estremità posteriore, oltre l’altare maggiore, si trovava il coro delle monache, separato da una grata: le religiose assistevano da lì alle messe, non viste dai fedeli, come prescritto dalla regola. Sul lato destro dell’altare maggiore esisteva un passaggio comunicante con il convento (oggi murato) che permetteva alle monache di entrare direttamente nel coro sopraelevato. Il pavimento era in lastre di pietra calcarea locale; è verosimile che sotto di esso fossero presenti sepolture (delle stesse monache o di benefattori), ma finora non sono stati svolti studi archeologici in proposito (non documentato). Nel complesso, l’impianto interno era sobrio e funzionale alla clausura: un’unica navata per i fedeli esterni e uno spazio riservato (coro) per le monache.

Facciata e portale

Esterno: l’unico prospetto visibile dell’edificio è la facciata principale, rivolta ad ovest sul Ronco Capobianco. Essa risale alla ricostruzione del 1806 e mostra uno stile tardo-barocco semplificato, con elementi di transizione verso il neoclassico. La facciata è in pietra calcarea intonacata (oggi parzialmente annerita dal tempo) e si sviluppa su un unico ordine. Ai lati presenta due lesene appena accennate, che sorreggono idealmente un frontone curvilineo spezzato alla sommità. Il portale d’ingresso è incorniciato da conci lisci e sormontato da un timpano spezzato in cui è inserito uno stemma marmoreo (probabilmente lo stemma del vescovo Capobianco, oggi poco leggibile). Sopra il portale si apre un grande oculo di forma polilobata, elemento decorativo di richiamo tardo-gotico molto raro a Siracusa: funge da finestra per illuminare l’interno e caratterizza fortemente la facciata. Più in alto, in asse, si trova una piccola apertura circolare (oculo semplice) che aerava il sottotetto. Il prospetto termina con un profilo mistilineo: al centro una curva convessa raccorda due volute laterali, secondo uno schema tipico del barocco siciliano semplificato. In sommità probabilmente vi era una croce o un piccolo campanile a vela (non più esistente). Nel complesso, la facciata comunica un’eleganza sobria: racconta la storia di un luogo sacro attraverso i suoi pochi ornamenti superstiti.

Portale e finestra polilobata della facciata, ex Chiesa del Salvatore (Ortigia)
Il portale barocco della chiesa, con timpano spezzato e stemma vescovile al centro. Sopra di esso si nota la finestra polilobata (oculo a più lobature) che illumina l’interno.

Sulla facciata si trovano anche due lapidi marmoree: una, più grande, reca un’iscrizione in latino che ricorda la ricostruzione del 1806 e nomina il vescovo Gaetano Maria Bonanno; l’altra, più piccola, potrebbe riferirsi all’intitolazione o ad altri restauri (oggi risulta poco leggibile a causa dell’erosione). Questi elementi epigrafici forniscono informazioni storiche: ad esempio, dalla lapide del 1806 si ricava la riconsacrazione con il titolo del Santissimo Salvatore. Sui prospetti laterali esterni, la chiesa è quasi totalmente occultata dagli edifici adiacenti (ex convento e costruzioni successive); si intravedono solo alcuni contrafforti e tracce di finestrature ora tamponate lungo il vicolo retrostante. Non è presente un campanile in muratura: data la natura conventuale, la chiesa utilizzava probabilmente un piccolo campanello a vela o una campana appesa all’interno.

Interni e trasformazioni del XX secolo

Interno attuale: ciò che oggi si vede entrando nell’ex chiesa è molto diverso dall’assetto originario. Dopo la sconsacrazione, l’ambiente interno è stato modificato per adattarlo a usi industriali. L’ampia navata è stata suddivisa in tre piani sovrapposti mediante solai in cemento armato, creando un edificio “a più livelli” all’interno delle antiche mura. I piani sono collegati da scale metalliche e affacciano su un vuoto centrale alto circa 10 metri (corrispondente alla navata originaria), illuminato da un grande lucernario in vetro e acciaio aperto sul tetto. Le pareti originali, in grossi blocchi di pietra calcarea locale, sono intonacate di bianco; qua e là affiorano cornici e archi in pietra o in mattoni, residui delle decorazioni e delle aperture originarie. Del decor sacro un tempo presente (stucchi, affreschi, altari) non resta quasi nulla: l’altare maggiore in marmi policromi fu smontato, così come gli altari laterali, e le tele e statue furono rimosse negli anni della chiusura. L’interno oggi appare spoglio e funzionale, con pilastri e travi metalliche a vista che sorreggono i soppalchi.

Stratificazioni storiche: nonostante le aggiunte novecentesche, l’edificio conserva in parte la sua struttura portante storica. Si possono distinguere almeno tre fasi costruttive: la fase originale seicentesca (murature perimetrali e impianto generale del 1652), la fase post-terremoto settecentesca (eventuali rifacimenti barocchi interni, in buona parte rifusi poi nella fase successiva), la fase post-incendio ottocentesca (facciata e consolidamenti del 1800–1806), infine la fase contemporanea (infrastruttura interna post-1950). La compresenza di queste stratificazioni rende l’edificio un interessante palinsesto: ad esempio, studiandolo si potrebbero scoprire tracce delle decorazioni barocche coperte dagli intonaci moderni, o individuare punti in cui la muratura seicentesca è stata integrata nell’Ottocento. Finora però non sono state condotte indagini storico-architettoniche approfondite sul posto. La maggior parte delle informazioni è dedotta da analogie con edifici simili e da documenti d’archivio.

Opere e arredi

Molto poco è rimasto in situ del patrimonio artistico della chiesa, a causa delle vicende storiche (incendio, chiusura e spoliazione). Tuttavia alcune opere e oggetti sono noti grazie alle fonti:

  • Monumento funebre del vescovo Capobianco (1701) – Era il manufatto artistico più significativo della chiesa. Si trattava di un mausoleo in marmo con effigie del vescovo Giovanni A. Capobianco, realizzato nel 1701 dallo scultore Oronzo Salinari. Originariamente collocato accanto all’altare maggiore, comprendeva probabilmente un busto o una figura giacente del vescovo e un’epigrafe. Nel 1885, in occasione del passaggio ai Naviganti, il monumento fu smontato e trasferito nella Cattedrale di Siracusa (Cappella del Crocifisso). Grazie a questo spostamento, l’opera è giunta fino a noi e di recente (2020) è stata restaurata e presentata al pubblico.
  • Lapidi e iscrizioni (1806) – Sulla facciata della chiesa sono presenti due lapidi commemorative in marmo. La principale, datata 1806 (incisa forse nel 1807), è in latino e ricorda la ricostruzione dopo l’incendio, menzionando il vescovo Bonanno come promotore. Un’altra lapide minore potrebbe trovarsi anch’essa in facciata o all’interno (ora non visibile): potrebbe riportare la dedica della chiesa o altri eventi. Purtroppo le iscrizioni sono oggi poco leggibili, ma copie o trascrizioni potrebbero essere conservate in archivio.
  • Dipinti e pale d’altare – Non si ha certezza di quali fossero le tele custodite nella chiesa. È probabile che sull’altare maggiore vi fosse una pala raffigurante il Salvatore o la stessa Santa Teresa d’Ávila, e che vi fossero alcuni quadri minori sugli altari laterali (forse santi dell’Ordine Carmelitano, come San Giuseppe o San Giovanni della Croce). Se queste opere esistevano, due possibili destini: o andarono distrutte nell’incendio del 1800, oppure, se realizzate dopo quel periodo, furono rimosse nel 1924 alla chiusura e trasferite altrove. Al momento non sono identificati dipinti sicuramente provenienti da questa chiesa in altre sedi.
  • Sculture e statue – Nessuna statua è oggi attribuita con certezza alla chiesa del Salvatore. Si può ipotizzare che vi fosse una statua lignea di Santa Teresa d’Ávila e forse un Crocifisso processionale. Durante il periodo dei Naviganti, è documentato che essi veneravano una statua lignea di Santa Lucia (già presente nella loro chiesa di Porto Salvo): dopo la demolizione del 1879, questa statua fu messa in salvo e in seguito individuata nella chiesa della Consolazione a Belvedere, dove è custodita tuttora. Ciò fa supporre che tra 1885 e 1924 tale simulacro sia stato ospitato proprio nella chiesa di S. Salvatore, per poi essere trasferito.
  • Reliquie e oggetti sacri – Non si conoscono reliquie particolari legate alla chiesa. Trattandosi di un monastero, è possibile che le monache possedessero reliquie di Santa Teresa o di santi carmelitani, ma nessuna traccia ne è emersa. Per quanto riguarda gli oggetti liturgici, con la chiusura furono rimossi: tabernacolo, candelabri, paramenti. Alcuni potrebbero essere stati riutilizzati in altre chiese (senza fonte). Anche la campana della chiesa fu probabilmente tolta: non risultano campane oggi.

In sintesi, ciò che rimane oggi nell’edificio sono quasi esclusivamente gli elementi architettonici fissi (strutture murarie, lapidi). Tutto il patrimonio mobile è stato perduto o ricollocato altrove. Questo rende difficile ricostruire l’aspetto interno originario e l’iconografia del luogo.

Il culto e la comunità: dal monastero ai marinai

Sebbene la chiesa non sia mai stata sede parrocchiale, ha svolto nel tempo un ruolo significativo per specifiche comunità:

  • Epoca monastica (1652–1885): la chiesa serviva principalmente le monache di clausura del monastero di Santa Teresa, ma era aperta anche ai fedeli esterni in determinate occasioni. Ogni giorno le monache vi partecipavano alla messa corale dal coro interno, mentre i fedeli potevano assistere dall’aula. Ricorrenze importanti vedevano una maggiore partecipazione pubblica: ad esempio la festa di Santa Teresa d’Ávila (15 ottobre) e le celebrazioni legate alla spiritualità carmelitana. In particolare, è attestato che le Carmelitane Teresiane di Siracusa fossero devote al Sacro Cuore di Gesù e ne celebrassero con solennità la festa annuale (giugno). Questa devozione probabilmente coinvolgeva anche i fedeli del quartiere, attirandoli nella chiesa per le funzioni (ipotesi plausibile, non documentata direttamente).
  • Periodo della Società dei Naviganti (1885–1924): con l’arrivo dei marinai, la chiesa cambiò pubblico e funzioni. Divenne essenzialmente l’oratorio dei marinai di Siracusa: un luogo dove pregare prima di affrontare il mare e ringraziare per i ritorni. La Società dei Naviganti aveva origini antiche e costruì nel 1596 la propria chiesa di Porto Salvo presso il porto. Quando questa fu perduta, trasferirono tali pratiche devozionali nella chiesetta di Ortigia. I Naviganti celebravano qui la festa della Madonna di Porto Salvo e mantennero un legame forte con Santa Lucia. Molti degli ex voto e degli oggetti della congregazione trovarono posto nella chiesa, fra cui il gonfalone storico poi disperso.
  • Dopo la chiusura (dal 1924): con la sconsacrazione, la chiesa perse ogni ruolo comunitario. Nel corso del Novecento venne ricordata come ex chiesa adibita a magazzino o tipografia. Negli anni più recenti, con la riscoperta di Ortigia come centro culturale, l’ex chiesa è tornata all’attenzione come possibile spazio da recuperare, e alcune aperture straordinarie hanno consentito visite in occasione di eventi.

Conservazione, tutela e stato attuale

Dopo la chiusura (1924–oggi): la storia recente dell’edificio è caratterizzata dal riuso adattivo e dalla progressiva attenzione al suo valore storico. Negli anni ’40–’50, la chiesa fu adibita a mobilificio e poi, dagli anni ’60 circa, a tipografia. Queste attività richiesero interventi interni ma garantirono manutenzione di base. Il bene compare in pubblicazioni istituzionali, tra cui la brochure del 2021 sui monumenti della Maestranza, che lo elenca come “Chiesa di Santa Teresa, ex Convento del SS. Salvatore (sec. XVII)”.

Negli ultimi anni vi è un interesse verso il recupero della ex chiesa. La struttura è stata proposta sul mercato come spazio da valorizzare (progetto “Arethusa Boutique”), con destinazioni d’uso ipotizzate di tipo culturale o ricettivo. Nel 2024 l’edificio ha ospitato una mostra, consentendo l’accesso al pubblico in forma temporanea.

Stato di conservazione: dal punto di vista strutturale, l’ex chiesa si presenta stabile e in discrete condizioni. Le murature portanti appaiono integre; la facciata, pur con depositi e annerimenti, è completa nei suoi elementi. Il degrado riguarda soprattutto aspetti estetici e funzionali (intonaci, impiantistica, infissi), più che danni strutturali evidenti.

Tutela normativa: l’edificio è protetto dalla legislazione sui beni culturali (oggi D.Lgs. 42/2004) e ricade nel perimetro del sito UNESCO “Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica” (2005), che comprende Ortigia. Ogni intervento di restauro o cambio d’uso richiede autorizzazione della Soprintendenza competente.

Prospettive future: al 2025, la ex chiesa di San Salvatore è in attesa di un progetto di rifunzionalizzazione compatibile con la sua natura storica. Le ipotesi includono spazi culturali polivalenti o destinazioni ricettive leggere, purché compatibili con la tutela.

Accessibilità

Accessibilità motoria

L’accesso avviene da Via della Maestranza, entrando nel Ronco Giovanni Antonio Capobianco, un vicolo stretto che porta a un piccolo slargo davanti alla facciata. Dalle foto si vede una pavimentazione in basole e ciottoli irregolari, con fughe e dislivelli, che può creare difficoltà a chi cammina con fatica, usa un bastone o un deambulatore. Lo spazio di passaggio nel vicolo resta praticabile, ma risente di ostacoli occasionali (vasi, oggetti, teli) e dell’assenza di corrimani. La soglia dell’ingresso principale sembra avere un piccolo gradino o un rialzo, senza rampa fissa. L’area è di fatto pedonale, con limitazioni al traffico, quindi un arrivo in auto con accompagnamento richiede organizzazione e, in molti casi, un tratto a piedi. Al momento la chiesa risulta chiusa e l’accesso dipende da aperture straordinarie.

Accessibilità visiva

Il percorso è abbastanza “leggibile” perché il vicolo è sostanzialmente lineare e conduce direttamente alla facciata. Il contrasto tra muri chiari e basolato scuro aiuta chi ha residuo visivo, specie con luce naturale. Restano criticità legate a elementi sporgenti e poco prevedibili: cavi, mensole, lampioni, tende fissate tra edifici, vasi vicino ai muri e possibili oggetti lasciati nello slargo. Non si notano percorsi tattili, mappe tattili, segnaletica in braille o indicazioni ad alto contrasto dedicate. Per chi è non vedente, l’orientamento richiede spesso accompagnamento, perché mancano riferimenti tattili continui e la pavimentazione irregolare può rendere meno stabile il passo.

Accessibilità uditiva

Non emergono dispositivi o servizi pensati per persone sorde o ipoacusiche. Non si vedono pannelli informativi con contenuti testuali in loco, né indicazioni su visite guidate con supporti visivi. In caso di eventi o aperture, l’accessibilità uditiva dipende molto da come vengono fornite le informazioni (testi, QR code, materiali scritti) più che dall’architettura esterna, che non presenta segnali specifici.

Accessibilità cognitiva

La chiesa è “nascosta” in un ronco e, senza una segnalazione chiara, può risultare poco immediata da individuare per chi non conosce già il posto. La lettura del contesto urbano è semplice perché il vicolo porta dritto alla facciata, ma manca una comunicazione sul posto che spieghi cosa sia l’edificio, perché è chiuso e come visitarlo. Per una fruizione più chiara servirebbero indicazioni essenziali, con linguaggio semplice e riferimenti pratici.

Suggerimenti

Durante eventuali aperture, una rampa mobile sulla soglia e tappeti antiscivolo rimovibili sui tratti più irregolari possono ridurre l’impatto del basolato senza interventi invasivi. Un percorso libero da ostacoli, con vasi spostati e oggetti rimossi dallo slargo, aiuta sia la mobilità sia l’orientamento con bastone. Una segnaletica discreta ma leggibile all’imbocco del ronco, con freccia e nome dell’edificio, facilita la ricerca senza appesantire il contesto. Un QR code che rimandi a una pagina accessibile (testo pulito, lettura facile, audio descrizione, immagini con descrizioni) copre molte esigenze insieme. Se l’interno viene aperto al pubblico, serve una valutazione specifica separata, perché le modifiche novecentesche e i livelli interni possono introdurre barriere diverse da quelle esterne.

Questioni irrisolte

Dedica ufficiale e nome storico: non è del tutto chiaro quale fosse la intitolazione liturgica formale della chiesa nei documenti dell’epoca. Venne consacrata come “Santissimo Salvatore” oppure come “Santa Teresa”? O forse come “Santa Teresa del SS. Salvatore”? Le fonti consultate usano entrambi i nomi, ma non è stato reperito l’atto di dedicazione originario. Un’indagine in Archivio Arcivescovile (registri delle visite pastorali seicentesche) potrebbe chiarire la questione.

Esistenza di una chiesa preesistente: la tradizione non ne parla, ma data la densità edilizia di Ortigia è lecito chiedersi se sullo stesso lotto vi fosse un piccolo oratorio prima del 1652. Verificare mappe e catasti pre-1600 potrebbe escludere definitivamente la presenza di un edificio sacro precedente sul sito.

Dotazione artistica originaria: non sappiamo quali opere d’arte abbellissero la chiesa prima dell’incendio del 1800, oltre al mausoleo di Capobianco. Non è noto alcun inventario settecentesco. Eventuali elenchi redatti alla chiusura del 1924 potrebbero esistere in archivi diocesani.

Archivio e cronache del monastero: se fossero rintracciabili carte del monastero di Santa Teresa nel fondo Corporazioni religiose soppresse dell’Archivio di Stato, si potrebbero ottenere dati di prima mano su vita interna, lavori e vicende materiali della fabbrica.

Società dei Naviganti – passaggi di consegne: sarebbe utile reperire l’atto di concessione del 1885 (decreto arcivescovile o rogito notarile) per chiarire condizioni e durata della concessione, oltre alla gestione dei beni trasferiti.

Vicende del dopoguerra: non è chiaro quando e come l’edificio sia passato stabilmente a privati. Le pratiche edilizie relative ai soppalchi e all’uso tipografico potrebbero essere conservate in archivi comunali o della Soprintendenza.

Possibili resti nascosti: sono possibili sepolture o cavità sotto il pavimento, e decorazioni murarie coperte dagli intonaci moderni. Solo indagini diagnostiche o saggi stratigrafici potranno chiarirlo.

Bibliografia

  • Lucia Acerra, Architettura religiosa in Ortigia, Siracusa, Ediprint, 1995 (scheda “Chiesa di S. Teresa o SS. Salvatore” con note storiche).
  • Paola Antongiovanni, “Soci pochissimi e dopo 600 anni fu costretta a chiudere la Società dei Naviganti”, in I Fatti Siracusa, 30 gennaio 2021 (online; consultato dicembre 2025).
  • Pasquale Magnano, “La chiesa di Santa Maria di Porto Salvo”, in Capitoli della Storia di Siracusa, Noto, Arnaldo Lombardi Editore, 1986.
  • Giuseppe Capodieci, Annali di Siracusa (manoscritto, XVIII sec.), vol. VIII, p. 522 (citato per la fondazione della chiesa di Porto Salvo nel 1596).
  • Ignazio Marino, Siracusa – Itinerari storico-artistici di Ortigia, Siracusa, 2000.

Sitografia

Voci correlate

Collegamenti esterni

Scheda aggiunta da Alessandro Calabrò il 16 dicembre 2025 * * *

Fonti

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Tabella dei Contenuti

Indirizzo
Ronco Giovanni Antonio Capobianco 6 (da via della Maestranza), Ortigia, Siracusa (SR)
Quartiere / Zona
Ortigia – rione Giudecca
Epoca / Secolo
XVII secolo (fondazione 1652), con ricostruzione principale nel XIX secolo (1806).
Accessibilità
Motoria: Accesso da vicolo lastricato con basole irregolari e dislivelli; ingresso con piccolo gradino, senza rampa fissa; area pedonale e visita solo in aperture straordinarie.
Visiva: Percorso lineare fino alla facciata con discreto contrasto tra muri e basolato; assenti percorsi tattili, braille e segnaletica dedicata; possibili ostacoli sporgenti nel vicolo e nello slargo.
Uditiva: Non risultano ausili specifici o pannelli informativi in loco; in caso di visite o eventi la fruizione dipende da materiali scritti/visivi e dall’organizzazione delle informazioni.
Cognitiva: Chiesa poco evidente perché collocata in un ronco; mancano indicazioni che spieghino cosa sia e come visitarla; utile segnaletica essenziale e informazioni semplici.
Orari o note pratiche